martedì 28 maggio 2013

Due giorni di seminario su neuroscienze e matematica a Forlì

Il 17 e 18 maggio sono stata chiamata a dare un mio contributo in un seminario che si è tenuto a Forlì, su neuroscienze e matematica.
Le due giornate di discussione sono state interessanti, per chi me le  ha chieste posto qua le slides dei miei interventi

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catastini-matematica-e-neuroscienze-seconda-parte

L'icona da cliccare è accanto al mio nome (lo precede). quando ho provato ad aprire i pdf, mi si sono presentati uno di seguito all'altro, come fossero uno solo, in realtà sono due, il primo presentato il 17, dal titolo L'innaturalità della matematica (a sfondo bianco) e l secondo, presentato il 18, dal titolo "Vedere come" e matematica (a sfondo verde sfumato).

martedì 29 maggio 2012

le parole...


Carlo Levi ha scritto che le parole sono pietre. Le parole non dovrebbero essere pietre, ma catalizzatori, che avviano processi di trasformazione delle idee e delle azioni. Le parole dovrebbero contaminare e trasformare. Chiedono, per questo, di essere continuamente aggiornate e ridefinite, che ne siano individuate le trasformazioni, i cambiamenti, percepite le condizioni, prevista l'evoluzione.
Esiste un problema, con le parole, in due sensi. Il primo ci vede pieni di parole vuote. Ci sono espressioni di sempre, come "educazione moderna","cultura scolastica formativa", "maturità", che sopravvivono con una sorta di atmosfera connotativa che li circonda ma che sono ormai privi di significato, perchè i loro riferimenti si trovano in strutture dell'esperienza create in un altro contesto storico e sociale e non sono stati aggiornati. D'altro canto ci sono espressioni di oggi come "il sapere che serve al cittadino", "ciò che serve della matematica", "il valore del nuovo" "la scuola delle competenze", che sono ambigue, essendo definite dall'uso strumentale che chi le ha proposte ne vuole fare e non da parametri oggettivi discussi e condivisi. Sì, è vero: le parole mutano significato a causa dei mutamenti socioculturali. La "matematica del cittadino" oggi ha ben poco a che vedere con rigurgiti giacobini, perché è cambiata la dimensione stessa del cittadino. Che cosa si intende oggi per cittadino, come è cambiato il significato rispetto a tre secoli fa? Un tempo questo termine evocava una persona raffinata, cortese (e questo aggettivo ... come è distante da noi il suo significato etimologico), contrapposto a campagnolo. Che nuovo senso acquista oggi questa contrapposizione a causa delle mutate condizioni di vita nelle città e nella campagne e a causa delle organizzazioni profondamente diverse delle città e delle campagne? È davvero importante  fermarsi a rievocare l'etimologia delle parole che usiamo e studiarne la loro evoluzione, le profonde trasformazioni che hanno subito a causa dei cambiamenti economici, sociali e culturali. Amore per la parola, interesse per i suoi significati originari e per i cambiamenti di senso e significato. Almeno per quelle parole che usiamo più frequentemente, che vogliono caratterizzare le nostre idee ed azioni. E invece viviamo in un'epoca di corruzione della parola, dove il dialogo è stato sostituito dal messaggio promozionale che aggredisce, fin dai primi anni della vita, senza che si possa essere consapevoli di questa aggressione. Il linguaggio pubblicitario moltiplica sogni e bisogni e sottrae immaginazione e fantasia. Il fenomeno, drammatico per le conseguenze, lascia sul terreno parole svuotate di valori e significati che avevano un tempo e non ancora riempite di un significato opportuno e condiviso. Suoni che riempiono i nostri discorsi di nebbia. "Povero uomo, cercando dio nella nebbia", scriveva M. de Unamuno ... ma per i giovani oggi la situazione è ancora più drammatica: non ci stanno nella nebbia. Non ci vogliono stare, non ce li vogliono far stare. La nebbia è scomparsa. Così si può correre, sempre; si corre avendo l'impressione di cogliere di più, di vivere di più. Si va in superficie, senza sondare la profondità Non c'è più bisogno di cercare, di ricercare: ciò che si vede è. Le parole devono avere un significato chiaro: "slogan" è la parola d'ordine, poco pensiero, che lo slogan ti risparmia la fatica, poche parole, un  solo significato . Ma se accettiamo tutto questo non facciamo un buon servizio alla cultura e alla scienza. Non si aiutano le persone (gli studenti, per noi) ad acquisire capacità di giudizio critico se non li si lascia soli, almeno per un po', a fare esperienza della nebbia.
Il secondo problema è che non abbiamo parole per esprimere concetti nuovi che, tra noi insegnanti, si sono affermati attraverso l'esperienza, il confronto con gli studenti e le strutture scolastiche e sociali, l'interazione con le istituzioni. I concetti sono di tipo socio-morale, sostitutivi di quelli svuotati di senso, e di tipo professionale, relati strettamente tra loro. Non si può decidere del sapere che serve al cittadino, ad esempio, se non si concorda prima su che tipo di cittadino si vuole. Lo stato di grave degrado politico in cui versa l'Italia è il maggior responsabile di questo fenomeno, sta a noi metterci un rimedio, anche se costa.
Per lo meno ci costa solo tempo e impegno, prima i rimedi costavano sangue e disperazione. Vediamo di non arrivarci, a quel punto. David Grossman ha scritto che si diventa massa (in senso negativo di perdita di individualità) quando si rinuncia a pensare criticamente, a cercare  il significato delle proprie azioni, a riflettere consapevolmente su di esse. Riappropriamoci allora dei significati delle parole, aiutiamo chi vive nell'incantesimo del villaggio mediatico globale: lavoriamo affinché questa società sia di massa non perché le masse siano sempre più facilmente manipolabili ma perchè tutti, in massa,  possano imparare a pensare criticamente.  Che cosa si può fare per favorire, anche di poco, questo processo di acquisizione di una consapevolezza critica? 
La parola, le parole, passino a  Danilo Dolci*, che potrebbe esserci d'aiuto:

C'è chi educa
guidando gli altri come cavalli
passo per passo;
forse c'è chi si sente soddisfatto
quando è così guidato.

C'è chi educa senza
nascondere l'assurdo ch'è nel mondo,
aperto a ogni sviluppo ma tentando
di essere franco all'altro come a sé,
sognando gli altri come ora non sono:
                                     ciascuno cresce solo se sognato. 
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(*) Danilo Dolci, Il limone lunare, Laterza, 1970, p. 154

giovedì 24 maggio 2012

Parole: "senso"

Legata alla "molteplicità", come Parola vista dalla parte di un'insegnante di matematica, è la parola "senso". È una parola dai molteplici sensi, appunto, come potrebbe non esserlo? Dal "senso" come sensore biologico al "senso" come significato che il sensore attribuisce al percepito , da questo al "senso" come significato attribuito al percepito dal resto del cervello che elabora l'informazione del sensore, la strada è lunga e spesso sconnessa.

Luigi mi ha chiesto cosa intendo con innaturalità della matematica. Uno degli aspetti di questa innaturalità è la costruzione del senso ultimo di una situazione matematica, nella quale spesso il pensiero non può usare la solita prassi che usa nella vita comune, anzi, deve ribaltarla. La costruzione del "senso" come significato globale di una situazione è automatica e addirittura non evitabile per il pensiero umano, ma davanti alla matematica le prassi usuali devono essere spesso smontate e ricostruite con assetti diversi. L'argomento è complesso e non posso riassumerlo in uno o più post di un blog in pantofole, ma posso suggerire un mio articolo* riassuntivo, L'arco di pietre , che si può leggere cliccando sul titolo.
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(*) L. Catastini, L'arco di pietre,  Punti critici, n.8, 2003, pp. 25-52

mercoledì 23 maggio 2012

Parole: "molteplicità"

Ci siamo arrivati, alla "molteplicità"!
In Discorso sulla matematica (vedi aspettando la "molteplicità -1- ), Lolli ci descrive  la molteplicità di realtà matematiche esplorabili attraverso gli assiomi e i teoremi  di un unico modello formale matematico, ci mostra come «pensare ai modelli. alle interpretazioni di una teoria in un'altra e al linguaggio senza significati che le rende possibili, comporta per un matematico la considerazione della molteplicità. Essa si presenta come pluralità di interpretazioni, e scaturisce inevitabilmente dall'uso del linguaggio beckettiano».  

Con sensibilità e finezza Lolli passa dal rigore formale della teoria alla liricità dell'emozione del matematico di fronte alle possibilità di «quello che non è solo uno strumento nuovo di pensiero, ma una nuova filosofia»,  citando Enriques:« Pare quasi che agli occhi mortali, con cui ci è dato esaminare una figura sotto un certo rapporto, si aggiungano mille occhi spirituali per completarne tante diverse trasfigurazioni; mentre l'unità dell'oggetto splende alla ragione così arricchita, che ci fa passare con semplicità dall'una all'altra forma»

A me, insegnante di matematica,  la molteplicità legata alla materia si mostra con più facce, più complessa: da una parte comporta l'educare alla riduzione delle Parole in segni con cui costruire schemi astratti nei quali si possono compiere operazioni e dimostrare teoremi, dall'altra chiede l'educare alla sensibilità rispetto ai significati delle parole, alla costruzione sempre più fine di Parole che permettano di comunicare efficacemente la complessità dell'esperienza e della conoscenza umana.  "Razionale" e "Irrazionale" non sono solo segni, sono significati necessari alla costruzione del sentiero matematico, per un adolescente. Se l'insegnamento è efficace, si creerà la  consapevolezza, più o meno esplicita,  della diversità delle regole che il nostro pensiero deve applicare per costruire immagini e parole adatte alla riduzione, rispetto a quelle  usate nella complessità della vita  "naturale".  Solo così i due mondi possono interagire in maniera ricca e produttiva con la crescita culturale ed emotiva dello studente, giustificandosi a vicenda. 

Calvino, nelle Lezioni Americane,  esprime bene questa biforcazione del pensiero in due direzioni, da una parte la riduzione delle parole della complessità vissuta in modelli e schemi formali, dall'altra la sua moltiplicazione per render conto con la maggior precisione possibile dell'aspetto sensibile delle cose:
«In realtà sempre la mia scrittura si è trovata di fronte due strade divergenti che corrispondono a due diversi tipi di conoscenza: una che si muove nello spazio mentale d'una razionalità scorporata, dove si possono tracciare linee che congiungono punti, proiezioni, forme astratte, vettori di forze; l'altra che si muove in uno spazio gremito d'oggetti e cerca di creare un equivalente verbale di quello spazio riempiendo la pagina di parole, con uno sforzo di adeguamento minuzioso dello scritto al non scritto, alla totalità del dicibile e del non dicibile. Sono due diverse pulsioni verso l'esattezza che non arriveranno mai alla soddisfazione assoluta: l'una perché le lingue naturali dicono sempre qualcosa in più rispetto ai linguaggi formalizzati, comportano sempre una certa quantità di rumore che disturba l'essenzialità dell'informazione; l'altra perché nel render conto della densità e continuità del mondo che coi circonda il linguaggio si rivela lacunoso, frammentario, dice sempre qualcosa in meno rispetto alla totalità dell'esperibile»


"Molteplicità" dunque come molteplici sono gli effetti dello studio della matematica sul pensiero e sull'immaginazione: amplificazione di significati, come nel linguaggio naturale e nelle sue costruzioni,  costruzione di aspetti innaturali nel ragionamento, faticosa palestra per il cervello,  che permetteranno di arrivare alla  cancellazione di significato nella costruzione di modelli formali come nella matematica.
"Molteplicità" infine come le tante forme di ricchezza intellettuale che una scuola sana e libera e intelligente potrebbe offrire ai propri studenti, senza bisogno di avere crocette tra le scatole.

lunedì 21 maggio 2012

aspettando la "molteplicità" -4- parole buone e parole fasulle

Una volta l'insegnamento e la valutazione erano armonicamente connessi: l'attività dell'insegnante in classe prevedeva momenti di verifica della crescita culturale dello studente attraverso interazioni diverse quali l'interrogazione orale, il compito scritto, l'interazione in classe, la discussione in consiglio di classe con i colleghi di altre materie, perché si considerava "globale" il suo profilo culturale. Il suo cammino formativo avveniva attraverso modalità complesse che prevedevano non solo una acquisizione di  nozioni e della capacità di applicarle, ma anche (e soprattutto) una educazione alla complessità cognitiva e morale di una società basata su alte costruzioni del sapere. Un esempio di quanto voglio dire si trova nelle parole di Pontiggia.  Nel 2008 su  radio3 hanno replicato una serie di appuntamenti con Pontiggia, andati in onda poco prima della sua morte. In queste sue chiacchierate Pontiggia esprimeva benissimo e continuamente il senso dello studio della lingua come strumento di conoscenza di se stessi e degli altri, conoscenza che altrimenti potrebbe anche non svilupparsi. Non ho spazio qui per di commentare l’importanza di questa capacità in un individuo, dico solo che se la scuola contribuisce a farla crescere, allora l’istruzione diventa anche momento altamente educativo.

Chi vuole dare consistenza speculativa ed espressiva al proprio pensiero, dice Pontiggia, è bene che si confronti col collaudo molto duro della lingua comune, nella quale le parole hanno subito un vaglio millenario. Nelle parole si deposita un sapere distillato dal tempo e uno dei momenti conoscitivi più significativi e gradevoli è quello dello studio della storia delle parole, nei millenni, che passa anche attraverso lo studio della letteratura.. È una miniera di significati sociali e personali e portano a scoperte straordinarie sulla genesi di certe idee anche solo con ciò che è implicito nelle radici delle parole usate.
La lingua comune veicola meglio l’originalità di un pensiero. Pontiggia pensa che i grandi scienziati, Planck, Eisemberg, Einstein per esempio, che parlavano in maniera semplice e piana delle loro teorie, non volevano fare mera divulgazione ma avevano ambizione più alte: quello di sottoporre il loro mondo speculativo al confronto con la lingua comune in modo che le idee nuove trovassero agganci concettuali nel lettore in una lingua condivisa e non in uno sterile linguaggio tecnico. Usare la lingua “comune” per esprimere nuove idee, scientifiche in questo caso, chiede un grande sforzo espressivo e riflessivo, non è una riduzione ma un aumento di complessità nel lavoro dell’autore, che non lo fa per allargare il pubblico o per semplificare i problemi. Galilei addirittura, scrivendo anche in volgare, ha scelto la forma del dialogo, narrativo-teatrale per comunicare meglio le proprie idee.
Collaudare le proprie teorie al vaglio della lingua comune e non in quella specialistica significa scoprire cosa è implicito nelle radici delle parole e cosa è cambiato nel tempo. Tutto questo chiede uno sforzo introspettivo notevole perché la lingua comune costituisce un ostacolo molto forte alla fine costruzione di significati, ma, se conosciuta a fondo, diventa uno strumento insostituibile di veicolazione di idee profonde.

J. Renard, riferendosi alla comunicazione di stati interiori diceva: ” c’è una sola parola e il buon scrittore la conosce”
Renard intendeva dire che dal punto di vista espressivo non esistono sinonimi in una lingua, ossia non esistono parole che possano considerarsi identiche o equivalenti.
In che senso non esistono parole sinonimiche? Pensiamo ed esempio a un sinonimo di “casa”: potrebbe essere abitazione, edificio, dimora, sede... è evidente però che "casa" ha una connotazione fortemente familiare, "abitazione" sottolinea più l’abitare, "edificio" è più tecnico, "dimora" ha connotazioni intime e affettive.
Tra faccia e viso c’è una notevole differenza perché "viso" è una parola colta e mantiene il distacco mentre "faccia" invece è un termine carnalmente sincero e immediato . Difficile che qualcuno ti dica "che brutto viso hai stamani" oppure, "viso di merda", ma piuttosto "che brutta faccia hai!" ecc... ….
Ancora: viso e volto differiscono di una vocale ma evocano sensazioni e immagini distanti tra loro: la "o" di volto è più rotonda e carnale della "i" di viso, si evoca il volto dell'amante, "viso" invece va meglio per una Beatrice.
La ricerca poetica incide su questi significati, che influiscono sulla prosa, e viceversa la prosa, nel tempo, contamina la poesia.

Lo studio della lingua e della letteratura ha dunque anche questo particolare obiettivo: creare nell'adolescente il maggior numero di significati legati al suo crescere come una persona emotivamente complessa e fornire anche le parole giuste per esprimerli. Lo studente che non è sensibile alle differenze di sfumatura dei sinonimi o che non vede nessuna differenza tra "andare" e "recarsi" perde una parte importante dell'istruzione scolastica, forse la più importante. Dice Pontiggia, che "si va" al gabinetto e "ci si reca" dal preside, e che questa differenza insegna qualcosa che può aiutare a comunicare pensieri personali o speculativi.
Tale sensibilità non è necessariamente cosciente e neanche la si deve saper necessariamente esercitare in maniera creativa e originale, ma se si sviluppa rende l'individuo capace di guardare agli altri in modo profondo e di crescere nella propria complessità interiore attraverso esperienze comunicabili nella loro qualità umana più intima.

lI gergo giovanile, quello estraneo alla scuola, è inventivo per propria natura, è vero, ed anche fortemente condiviso, però questo linguaggio gergale serve a difendersi dall’esperienza, non ad approfondirla. Per esempio, nell’esperienza erotica il gergo è un linguaggio liquidatorio che uniforma le esperienze, le quantifica: ho fatto questo, ho fatto quello… neutralizza l’esperienza emotiva e fa diventare tutto uguale. In questo eccellono i maschi. Tutto questo pregiudica loro l’accesso all’esperienza che hanno avuto e in alcuni di loro pregiudica non solo la conoscenza del proprio animo ma anche lo sviluppo di empatia e riconoscimento di quello altrui.
Il linguaggio può essere molto violento. Si chiede oggi al personaggio di turno "come vive la gestione della sua vita sessuale" e non si tien conto che una persona nella vita di solito non ha una "vita sessuale" ma una fidanzata, un'amante, un moroso, una moglie, un marito e che di solito non è con la categoria della "gestione" che vive questi affetti.. Che frattura tra la realtà e le parole che vorrebbero raccontarla!

La povertà o la mancanza di congruità di linguaggio (direi meglio: di cultura in senso lato, di quegli aspetti della cultura che qui sto cercando di far emergere ) si evidenzia in questo episodio giornalistico: un personaggio importante che a un certo punto delle sua brillante e riuscita carriera ha scelto di seguire la vocazione di missionario si è sentito rivolgere questa domanda: "qual è la molla che ha fatto scattare il meccanismo della conversione?"
Sembrava si chiedesse il resoconto della conduzione manageriale di un'azienda e non di movimenti intimi e interiori, sotterranei, che alla fine emergono lentamente in superficie e si diffondono, dopo essersi sviluppati a lungo nel tempo e nel profondo dell'anima. Il linguaggio del giornalista allontanava il lettore dalla comprensione, liquidava l’esperienza rendendola vuoto stereotipo, non la avvicinava alla sensibilità di chi ne attendeva il racconto.

L’assimilazione dell’esperienza passa quindi anche attraverso l’appropriazione di un linguaggio adeguato, appropriazione che non si può effettuare e valutare facendo studiare a mente elenchi di parole "appropriate" e facendo mettere una crocetta sulla parole giusta. Qualunque semplificazione della complessità uccide l'effetto finale atteso.

domenica 20 maggio 2012

aspettando la "molteplicità" -3- punto esclamativo!

Oggi è  il giorno dopo. L'attentato a Brindisi chiede, tra le altre cose, ulteriori  sforzi a tutti noi che dedichiamo tempo e vita ai valori della cultura e dell'istruzione. 
Le note di ieri giravano attorno al rapporto tra pensiero e matematica, tra il pensiero di chi la matematica la pratica fino a esplorarne le espressioni più alte e recenti e il pensiero di chi, in una scuola qualunque, come quella di Brindisi, la studia perché qualcuno ha deciso che è una materia da studiare. E, di conseguenza, cosa c'è nel pensiero di chi decide i contenuti dell'insegnamento e le sue finalità. La matematica è una delle due materie oggetto di "testificazione Invalsi". L'altra è l'italiano. Le due materie fondamentali nella conoscenza. Peccato - e questa è la mia opinione - che le crocette ne ammazzino questa forte funzione di "fondamento". 
Riporterò nelle prossime note alcuni post del mio vecchio blog Splinder che riguardano l'insegnamento dell'italiano, per poterli richiamare quando finalmente affronterò la "molteplicità", per me legata al "fondamento".

I post sono nati come commento a un quesito posto nel 2008 in un test di maturità inglese, riportato dai giornali italiani. Riguardava il tema di inglese alla maturità in una scuola del Regno: «Descrivi la stanza dove sei seduto». Svolgimento: «Fuck off»
L’esaminatore, che è un importante professore britannico, non ha battuto ciglio, non si è offeso e non ha dato zero al sedicenne. Il voto è stato 2 punti su 27: uno guadagnato perchè non c’erano errori di ortografia o di sintassi nel tema e il secondo perchè la frase esprime un pensiero compiuto.
Il professor Peter Buckroyd ha spiegato nelle sue note al componimento che per guadagnare un punteggio minimo gli studenti debbono dimostrare di saper esporre «qualche semplice sequenza di idee» e saper «mettere alcune parole in ordine». Dunque «vai a fare...» ricade nella categoria valutabile con una certa positività. Il professore ha aggiunto che avrebbe aggiunto un voto in più se il ragazzo avesse concluso la frase con un punto esclamativo «Fuck off!», certamente adatto a un’ingiuria brusca.
La storia è stata raccontata dal Times, che si è scandalizzato, perchè il GCSE, General Certificate of Secondary Education, è un rito del sistema scolastico britannico, viene affrontato ogni anno da circa 780 mila sedicenni ed è decisivo per le iscrizioni alle più o meno prestigiose università. «Scrivete fuck off nel tema e prenderete il 7,5% del voto massimo. Aggiungete un punto esclamativo e il voto salirà all’11%», ha scritto il giornale con logica aritmetica.

Mr Buckroyd, che è chief examiner, responsabile anche per la preparazione dei colleghi membri di commissione d’esame, ha tenuto il punto. «Meglio un insulto che lasciare il foglio in bianco come fanno molti nostri ragazzi. Sarebbe stato sbagliato dare zero, perché quel fuck off ha mostrato una istruzione di base». L’organismo di controllo degli esami AQA (Assessment and Qualifications Alliance) ora dice che è il caso di rivedere le linee guida per la valutazione della maturità. Ma concorda con il professore che il «caso unico di espressione del candidato andava comunque considerato».

Ecco questa è la reiterata, scandalizzata cronaca dei giornalisti che sottolineano come sia stato o non sia stato dato un punteggio diverso da zero a un tema siffatto.

Io invece sono rimasta colpita dal titolo del tema: "descrivi la stanza dove sei seduto". Neanche all’esame di quinta elementare sarebbe venuto in mente di darlo, da noi, e da loro ci si gioca l'ammissione all'università..

sabato 19 maggio 2012

aspettando la "molteplicità" -2- l'intruso

...insomma, per riprendere il discorso cominciato nel post -1-, ho come l'impressione che il pensiero stia alla matematica come l'osservatore sta al fenomeno fisico osservato: entrambi sono intrusi che con la loro presenza modificano l'oggetto su cui si applicano.
Pensare la matematica vuol dire inquinarla?