Carlo Levi ha scritto che le parole sono pietre. Le parole non dovrebbero
essere pietre, ma catalizzatori, che avviano processi di trasformazione delle
idee e delle azioni. Le parole dovrebbero contaminare e trasformare. Chiedono, per questo, di essere continuamente aggiornate e ridefinite, che ne siano individuate le trasformazioni, i cambiamenti, percepite le
condizioni, prevista l'evoluzione.
Esiste un problema, con le parole, in due sensi. Il primo ci vede pieni
di parole vuote. Ci sono espressioni di sempre, come "educazione
moderna","cultura scolastica formativa", "maturità",
che sopravvivono con una sorta di atmosfera connotativa che li circonda ma che
sono ormai privi di significato, perchè i loro riferimenti si trovano in
strutture dell'esperienza create in un altro contesto storico e sociale e non
sono stati aggiornati. D'altro canto ci sono espressioni di oggi come "il
sapere che serve al cittadino", "ciò che serve della matematica",
"il valore del nuovo" "la scuola delle competenze", che sono ambigue, essendo definite dall'uso
strumentale che chi le ha proposte ne vuole fare e non da parametri oggettivi
discussi e condivisi. Sì, è vero: le parole mutano significato a causa dei
mutamenti socioculturali. La "matematica del cittadino" oggi ha ben
poco a che vedere con rigurgiti giacobini, perché è cambiata la dimensione
stessa del cittadino. Che cosa si intende oggi per cittadino, come è cambiato
il significato rispetto a tre secoli fa? Un tempo questo termine evocava una
persona raffinata, cortese (e questo aggettivo ... come è distante da noi il
suo significato etimologico), contrapposto a campagnolo. Che nuovo senso
acquista oggi questa contrapposizione a causa delle mutate condizioni di vita
nelle città e nella campagne e a causa delle organizzazioni profondamente
diverse delle città e delle campagne? È davvero importante fermarsi a rievocare l'etimologia delle parole che usiamo e
studiarne la loro evoluzione, le profonde trasformazioni che hanno subito a
causa dei cambiamenti economici, sociali e culturali. Amore per la parola,
interesse per i suoi significati originari e per i cambiamenti di senso e
significato. Almeno per quelle parole che usiamo più frequentemente, che
vogliono caratterizzare le nostre idee ed azioni. E invece viviamo in un'epoca
di corruzione della parola, dove il dialogo è stato sostituito dal messaggio
promozionale che aggredisce, fin dai primi anni della vita, senza che si possa
essere consapevoli di questa aggressione. Il linguaggio pubblicitario
moltiplica sogni e bisogni e sottrae immaginazione e fantasia. Il fenomeno,
drammatico per le conseguenze, lascia sul terreno parole svuotate di valori e
significati che avevano un tempo e non ancora riempite di un significato
opportuno e condiviso. Suoni che riempiono i nostri discorsi di nebbia. "Povero
uomo, cercando dio nella nebbia", scriveva M. de Unamuno ... ma per i
giovani oggi la situazione è ancora più drammatica: non ci stanno nella nebbia.
Non ci vogliono stare, non ce li vogliono far stare. La nebbia è scomparsa. Così si
può correre, sempre; si corre avendo l'impressione di cogliere di più, di
vivere di più. Si va in superficie, senza sondare la profondità Non c'è più
bisogno di cercare, di ricercare: ciò che si vede è. Le parole devono avere un
significato chiaro: "slogan" è la parola d'ordine, poco pensiero, che lo slogan ti risparmia la fatica, poche parole, un solo significato . Ma se accettiamo tutto questo non facciamo un buon servizio alla cultura e alla scienza. Non si
aiutano le persone (gli studenti, per noi) ad acquisire capacità di giudizio
critico se non li si lascia soli, almeno per un po', a fare esperienza della
nebbia.
Il secondo problema è che non abbiamo parole
per esprimere concetti nuovi che, tra noi insegnanti, si sono affermati
attraverso l'esperienza, il confronto con gli studenti e le strutture scolastiche
e sociali, l'interazione con le istituzioni. I concetti sono di tipo
socio-morale, sostitutivi di quelli svuotati di senso, e di tipo professionale,
relati strettamente tra loro. Non si può decidere del sapere che serve al
cittadino, ad esempio, se non si concorda prima su che tipo di cittadino si
vuole. Lo stato di grave degrado politico in cui versa l'Italia è il maggior
responsabile di questo fenomeno, sta a noi metterci un rimedio, anche se costa.
Per lo meno ci costa solo tempo e impegno,
prima i rimedi costavano sangue e disperazione. Vediamo di non arrivarci, a
quel punto. David Grossman ha scritto che si diventa massa (in senso negativo di perdita di individualità) quando si rinuncia a pensare criticamente, a cercare il significato delle proprie azioni, a riflettere consapevolmente su di esse. Riappropriamoci allora dei significati delle parole, aiutiamo chi
vive nell'incantesimo del villaggio mediatico globale: lavoriamo affinché
questa società sia di massa non perché le masse siano sempre più facilmente
manipolabili ma perchè tutti, in massa, possano imparare a pensare criticamente. Che cosa si può fare per favorire, anche di poco,
questo processo di acquisizione di una consapevolezza critica?
La parola, le parole, passino a Danilo Dolci*, che potrebbe esserci d'aiuto:
C'è chi educa
guidando gli altri come cavalli
passo per passo;
forse c'è chi si sente soddisfatto
quando è così guidato.
C'è chi educa senza
nascondere l'assurdo ch'è nel mondo,
aperto a ogni sviluppo ma tentando
di essere franco all'altro come a sé,
sognando gli altri come ora non sono:
ciascuno cresce solo se sognato.
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(*) Danilo Dolci, Il
limone lunare, Laterza, 1970, p. 154